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15 Dicembre 2018 alle 18:04 #14047
Introduzione…
È iniziato tutto quest’estate, qualcosa di poco meno di un disegno abbozzato, che mano a mano è diventato un progetto.
Dubbi e perplessità prima del viaggio, ma anche durante: tempo, soldi, il “non sarò mai una pro, cosa vado ad avventurarmi in queste esperienze?”
Questo è un report scritto “on the road”, durante il viaggio: la risposta forse l’avrò alla fine del viaggio.Partenza:
Jericocoara, un paradiso a forma di spiaggia, ma come per ogni paradiso per arrivarci bisogna tribolare; il viaggio è lungo e stancante, io sono partita da Venezia, con scalo di quattro ore a Lisbona, e da lì sette ore di volo fino a Fortaleza, capitale di Cearà; fino a qua, nulla di particolarmente stancante, diciamo nella norma, ma una volta atterrati, si parte per quello che è un tragitto di cinque interminabili ore di macchina.
Impressionante fin da subito quel che si vede della zona vicino all’aeroporto, l’emergenza rifiuti di Napoli è niente in confronto, ma la situazione del Brasile, con i suoi immensi contrasti è nota; io ero in macchina con due amici, e si è aggregata una terza persona dalla Spagna, con cui abbiamo conversato per cinque minuti, poi siamo crollati dalla stanchezza. Ogni tanto ci si svegliava per verificare se il conducente riusciva a tenere la strada (non è un dettaglio da poco): il loro lavoro prevede un viaggio e mezzo al giorno, quindici ore di macchina, con tappe intermedie dove si “drogano” di caffè e coca cola ed altre schifezze per tenersi svegli. Gli ultimi chilometri sono attraverso il deserto, ma essendo in notturna, dopo la stanchezza del viaggio, si potrebbe essere anche trainati da una slitta che non ci si rende conto di nulla e l’unica cosa che si vuole è dormire; da mettere in preventivo un giorno di recupero per il viaggio. Va subito detto che il risveglio alla mattina risana della stanchezza accumulata.Jericocoara:
Dopo una colazione in una delle pousadas di Jeri, sana ed equlibrata, si va tutti a vedere lo spot: sabbia bianca, dune, oasi, palme, acqua dell’Oceano Atlantico caldissima. Si capisce subito di essere in un posto che è oltre i confini della realtà, anche se qualcuno abituato alla nostra magica Sicilia ed alla Sardegna, storge il naso di fronte ad un Oceano non all’altezza di certi angoli del Tirreno e del Mediterraneo.“Scusa Livia, ma quando parli del windsurf?”… :
Pronti via, eccomi qua. Lo spot è un’autentica scuola: onde facili, regolari, ideali per qualunque livello, dal primo approccio alle onde a chiunque voglia iniziare o raffinare manovre avanzate.
La prima cosa che ti colpisce di questo spot è… la temperatura dell’acqua, calda, caldissima, al limite dell’essere fastidiosa, guanti e scarpette per alcuni sono necessari perché si lessa la pelle. Non c’è nessuno sbalzo termico tra la temperatura esterna e quella dell’acqua: so che sembra un’eresia, ma, personalmente, preferisco mille volte in più la sensazione di acqua refrigerante, infatti per i primi due giorni ho pensato “qua non resisto”, ma poi ci si “adatta” e ci si abitua.
Il vento è side off, formato dall’unione degli alisei, siamo poco sotto l’ equatore, cui si aggiunge un termico che inizia a soffiare, per un’uscita interessante, dalle dieci e mezza in avanti; si esce mure a dritta, con onde “destre”, (guardando la spiaggia, la parte surfabile è a destra, oppure guardando dalla spiaggia l’onda si forma a destra).
La pinna antialga in certe giornate è un must, i noleggi non sanno cosa sia l’anti alga per cui in assenza con un saltino le alghe spariscono. Il fondale è in gran parte sabbioso, salvo le rocce del “point” (punto di rocce grandi ed in superficie su cui le onde vanno a formarsi), c’è inoltre una parte del bagna asciuga che ha delle piccole rocce che emergono dalla sabbia, lì ci si può tagliare; con la bassa marea si vedono chiaramente e ci si può fare un’idea di dove sono posizionate, in modo da non camminarci sopra quando sono sommerse: ad esempio di fronte al “club ventos”è tutta sabbia e lo si può usare come riferimento per il rientro.Jericocoara è lo spot per tutti, anzi di tutti, ci trovi il principiante che vede per la prima volta un’onda, gli avanzati, gli atleti che si vengono allenare, campionesse e campioni del mondo di freestyle e wave, tra questi, Gollito, Oda Johanne, Arrianna Aukes, dispiace non aver incontrato Sarah Quita, che mi dicono essere persona di grande generosità… tutte donne di grande valore, sia le atlete sia quelle che erano là per imparare o progredire: mai visto tante donne in windsurf, quasi tutte italiane, peccato non vederne la stessa quantità anche in Italia. Ad ogni modo, uomini o donne, quando c’è vento il sorriso è unisex.
Molte e molti sono venuti fino a qua per chiudere il forward, qualcuno lo ha portato a casa, bravi, ma anche fortunati perché, nessuno lo avrebbe mai detto, ad un certo punto il vento ha iniziato a rallentare, fino a spegnersi definitivamente. E lì, l’atmosfera di festa, è iniziata a cambiare: tanto lo sconcerto, nonché il nervosismo in acqua.
Nei giorni di poco vento, ho visto che rispettare le precedenze, oltre ad essere una regola di sicurezza e civiltà, è anche un modo per non rischiare tensioni con nessuno, perché l’onda, anche la più piccolina, in certe giornate diventa quasi un pretesto per fare baruffa.
Rapido riassunto: chi esce dalle onde, saltandole, ha la precedenza rispetto a colui che entra surfandola; quando due o più surfisti stanno per prendere un’onda, ha la precedenza chi è più sopravvento. Non si droppa un’onda, non la si scavalca per prenderla: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, ci si prende il piacere dell’onda, ma anche uno scontro all’ultimo sangue con il rider cui è stata rubata l’onda. Queste sono regole note sicuramente a moltissimi, ma riportarle non costa nulla.
Ma ritorniamo al vento, fare il windsurf con poco wind è sempre difficile, per qualcuno poco entusiasmante, ma sulle onde il light wind si trasforma in wave riding con vele dalla 4,2 e 4,5 ed 82 litri (altri con il 90 litri, decisione sensata, ma io mi ero abituata al 82 litri che non ho mai cambiato, sacrificando qualche planata). Con queste misure si potrebbe pensare a planate a palla di cannone, ma in realtà, ci sono state giornate in cui eravamo al limite della partenza dall’acqua, e non sto esagerando, bisognava sputare sangue per uscire dalle onde: con poca spinta ed un vento side off che ti porta quasi in una direzione quasi parallela alle onde, uscire sottoinvelato è tutto equilibrio, albero verso la prua e peso sulla gamba anteriore per prendere le onde frontali e come dico in questi casi, “una volta armata la vela, bisogna armarsi di pazienza”. C’è anche chi ha preferito la vela più grande, ma per surfare una misura più ridotta è di aiuto.Il Wave riding: una volta uscite dalle onde, bisogna individuare il set, e già questo è uno step: le prime volte mi sentivo Sherlock Holmes, con la lente di ingrandimento e mi chiedevo dove cappero fossero queste onde, sorvolando sul fatto che per cercarle bene attraversavo l’oceano, mentre la regola è sempre la stessa: bordi corti, superare il point, e farci l’occhio; sinceramente non so dire se c’è una regola per individuarle, io, dopo i primi tentativi falliti, appena vedevo qualcosa che poteva sembrare un’onda avvicinarsi, mi dicevo “aspetta ancora un po’, non avere fretta” e poi facevo retro marcia, tenendo sempre lo sguardo rivolto alle mie spalle per vedere se l’onda si stava formando. Se era distante, andavo di bolina, per aspettarla, poi quando la vedevo avvicinarsi, pompavo, appena sentivo l’abbrivio mettevo i piedi nelle straps, e via a cercare di entrarci e surfarla.
Un paio di dettagli: prima di tutto, essendo giornate di poco vento, cadere nel virare o strambare nel rientrare per prendere l’onda, è abbastanza scontato, considerando che non si è al lago e dato il poco volume della tavola: la virata elicottero è una grande risorsa, anche se non la si chiude perfettamente, perché anche cadendo, ci si ritrova in acqua già in posizione di water start e non è un dettaglio da poco, dal momento che il timing è fondamentale sulle onde. Mano a mano, inquadrata la direzione del vento, anche l’elicottero si chiude perfettamente.
Altro dettaglio, pompare quando sta arrivando l’onda: le prime volte usavo la solita tecnica, quella delle braccia, ma poi, specie dopo 40 minuti di esercizi e cadute (backwind ecc), mi sono sciolta, ho preso maggiora confidenza con la tavola, e quando intravedevo l’onda formarsi dietro me iniziavo a pompare anche piegandomi sulle gambe e a mio avviso è una tecnica ideale sulle onde.
Anche in questa esperienza, a costo di sembrare noiosa, non mi stanco di ripetere che un po’ di tempo dedicato agli esercizi cambia tutto.Bottom turn: questo è quello che applico io, partendo dal principio che “una buona strambata è la base per un bel bottom turn” (cit.). Mano di bugna che arretra verso il terminale del boma, albero verticale, peso sul rail della tavola (contro lamina), e sguardo rivolto verso la parte dell’onda che ancora deve incresparsi, è là che inizia il cut back. Vorrei dire che lo so fare, ma non è così; giusto giusto riesco a spostare un po’ la mano di bugna, ma il peso sul rail è ancora molto lontano, come tutto il resto.
Cut back: per il mio livello, principiantissimo, il cut back lo vedo quasi come una sorta di principio di virata (mi rendo conto che sembra un’eresia) però si avvicinano le mani, l’albero lo si porta leggermente indietro e si scende l’onda. Sono concetti basilari ed approssimativi, ma questi sono quelli che sto iniziando ad apprendere, tra teoria ed esperienza.
Nel complesso per il mio livello è stata un’esperienza importante, i più bravi però e comprensibilmente si sono lamentati perché ci sono state giornate veramente senza vento. Per le verità, sono state pochissime le giornate di quelle davvero ventose, di quelle che, con la giusta sicurezza, si parte subito in planata: giusto, dimenticavo, sulle onde si deve partire in planata immediatamente , per superare, magari saltando, magari con il forward (magari), le prime onde.Cosa mi porto da questa esperienza? tantissimo. Le persone incontrate qua, prima di tutto Edvan Souza, atleta e gestore del Jeri 250, autorità del windsurf, una personalità unica e vederlo in acqua è pura arte.
La moltitudine di donne che ho incontrato in acqua a livelli avanzatissimi; l’acai (pronuncia, asaì), bacca dell’America meridionale, che ti viene servita praticamente gelata (più di uno si è rovinato l’uscita per passare dal caldo torrido al gelo dell’acai), le prime esperienze divertentissime con il surf, nelle giornate senza vento; aver rianimato una bambina di 3 anni, che una volta tornata tra noi si è poi appisolata in braccio mio, un’esperienza intensa che spero non mi capiti mai più, ma l’importante è che tutto sia finito bene e grazie ai vari corsi di BLS che ho fatto in passato; una garetta improvvisata tra alcuni pro per fare il forward sulla prima onda, really fun; lo sconforto di alcune giornate grigie, senza vento e persino con la pioggia (il windsurf talvolta regala delusioni, le aspettative, anche in acqua, non devono esserci); i bambini, sia quelli sul surf, sia quelli che venivano lanciati a fare il forward… mandati allo sbaraglio, ma troppo forti. La stima per il mitico nonno Gianni che ha viaggiato da solo per mezzo mondo con il windsurf, sei il top ed un esempio!!!!!!!Che dire? Viaggiare è sempre qualcosa di speciale, è sempre un’avventura, con tutte le sue difficoltà, ma ringrazio il windsurf per avermi dato una motivazione in più per partire, conoscere nuove persone, diverse prospettive, diversi stili.
Soudage? No, per me l’Italia è il posto più bello del mondo, e sono sempre convinta che per chi vuole fare windsurf, il Veneto sia una risorsa. Poi è chiaro che per certe situazioni bisogna muoversi.Cosa portare:
Crema solare con protezione alta, abbigliamento easy, calzari e guanti, la temperatura dell’acqua, specie finché non ci si abitua, è molto calda e lessa la pelle, con il rischio di bucarsi, la consapevolezza che il tragitto dall’Italia a Jeri è “never ending”, ma viene tutto ripagato il giorno successivo.Quando e con chi andare:
Vento da Giugno in avanti c’è sempre, per le onde meglio aspettare dopo ottobre, anche se potrebbe sorprendere da settembre con qualche bello Swell. È un posto perfetto per venirci con famiglia, salvo il fattore stanchezza per i cuccioli. Ci sono escursioni da fare durante gli improbabili “tempi morti” del vento (questo è stato una stagione sfortunata, ma è stata una fatalità). Il viaggio richiede 10 giorni di permanenza per giustificare tutto, una settimana può essere tirata, ma vale comunque la fatica.Noleggio sì, noleggio no:
Ci sono diversi centri per il noleggio, il più fornito è certamente club ventos, ma ve ne sono anche di minori con attrezzatura comunque valida.
Del doman non c’è certezza, per fortuna, ma non è da escludere che io parta il prossimo anno, senza clinic, i primi di ottobre. A risentirci a riguardo tra qualche mese.
Hang loose,
Livia.
P.S. si parte tra un'ora da Jericocoara, 15 dicembre ed è il primo giorno di pioggia torrenziale.
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17 Dicembre 2018 alle 16:52 #14051In questa occasione ho fatto noleggio, ma se dovessi tornare porterei da casa la mia attrezzatura; come prima esperienza, e per il mio livello, un noleggio ci poteva stare, anche perché compreso nel prezzo c'era tutto, anche sup e surf e ne ho fatto largo uso.
Avevano attrezzatura di ultima generazione, ma non mi sono trovata benissimo per quanto riguarda le vele, preferisco armarle io con gli alberi che conosco; ho usato sempre una severne 4,5 ed un paio di volte un 4,2, ma non mi sono piaciuti gli alberi.
Come tavola ho usato sempre un wave 82 litri rrd, con il quale mi sono trovata per la verità molto bene, tant'è che sono in trattativa con Detour per rientrare la mia attuale goya quad 84 litri con il wave cult 82 litri, bella tavola davvero, una bella lunghezza. -
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